Una Nuova stagione per il Trasporto Pubblico Locale

Per sostenere e per dare forza alla difficile ripresa che abbiamo di fronte non penso che al primo posto ci siano i soldi che lo Stato ha messo e dovrà mettere (pure importantissimi), ma l’assoluta necessità di mettere in campo “una visione”. Occorre cioè dire ora dove vogliamo andare domani, che idea abbiamo circa il futuro delle nostre comunità, quali priorità indichiamo, su quali di esse scommettiamo.

Il senso del paper che qui presentiamo è, in fondo, proprio questo.

Ci troviamo, per questa ragione, assolutamente allineati alle posizioni che il Presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi ha espresso in una sua recente intervista.
Avere una visione non vuol dire non essere pragmatici e inseguire irrealizzabili utopie, quanto invece tenere la testa più alta del piatto dove mangiamo e provare a scrutare l’orizzonte per stabilire la rotta e il modo migliore per perseguire la mèta che abbiamo deciso di raggiungere. “La visione” per noi è questa: il senso e l’importanza della mèta. Averla è persino più importante che raggiungerla.

E come si applica questa convinzione al Trasporto Pubblico Locale che è la cosa di cui io ed altri ci occupiamo? Avendo poche linee di ispirazione ma molto chiare. Sappiamo tutti che quando riprenderemo ad uscire da casa, il trasporto nelle nostre città, fuori e attorno ad esse, nel Paese, nelle brevi come nelle lunghe percorrenze, nella gomma come nel ferro, non sarà quello di prima e, quasi sicuramente, non lo sarà per molto tempo. Salire su una metropolitana, su un treno, su un autobus di linea urbana ed extra urbana, sarà più difficile di due mesi fa, non c’è alcun dubbio. Farà perdere più tempo e causerà disagi. Su questo punto dobbiamo essere molto chiari con chi ha usato e userà i nostri mezzi.
Ma io credo che i cittadini saranno disposti, non senza sforzo, a capire ed accettare questa dose ulteriore di sacrifici se avranno la certezza che chi guida le aziende e le organizzazioni imprenditoriali, non si limita alle giaculatorie sul bisogno di avere più soldi perché poi qualcosa di buono avverrà. Guidare aziende o, addirittura, avere l’incarico di rappresentarne una pluralità, vuol dire saper chiedere il giusto dovuto ma fronte di idee chiare, capacità innovative, visione appunto.
Se non le si hanno, meglio fare posto ad altri.

Da un lato noi dobbiamo essere capaci di persuadere il Governo e il Parlamento che il trasporto di persone è, prima di tutto, un servizio civile alla collettività, dove i contratti di servizio o gli strumenti analoghi che lo regolano, rappresentano elementi di costruzione ed equilibrio di politiche sociali, necessari per garantire il diritto costituzionale alla mobilità. Questo non toglie che esso sia soggetto alle regole d’impresa, tutt’altro. Ma si tratta di contemperare un sistema complesso regolandolo su ciò che potremmo chiamare, responsabilità sociale di impresa. Ciò comporta che se la presenza pubblica deve necessariamente fare la sua parte investendo adeguate risorse, fissando obiettivi, rispettando i tempi dei pagamenti, ristorando il sistema quando esso viene travolto da circostanze, come quella del coronavirus, assolutamente fuori programma e fuori controllo, dall’altra abbiamo bisogno di una altrettanto forte capacità di fare impresa, che sia all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. In poche parole: tanto il pubblico quanto il management delle imprese devono fare meglio e di più, integrando, proponendo azioni positive, innovazione, attitudine al rischio calcolato.

Nella nostra visione occorrono alcune cose e occorrono subito: l’uscita dalla fase del “tutti a casa” senza, per carità, rinunciare a vivere in sicurezza. Abbiamo dimostrato di saperlo fare, continueremo a farlo, senza nessuna superficialità o scorciatoia. In secondo luogo abbiamo bisogno di avere certezze circa le opportunità, le quantità di investimenti, la celerità delle scelte amministrative, i ruoli che ciascuno deve ricoprire, rafforzare, garantire alla collettività. Stabilendo confini precisi tra chi commissiona, chi fa, chi controlla. Per le imprese di trasporto si tratta poi di tornare prima possibile a quello che in moltissime stavano già facendo: investire sulla sostenibilità, farsi carico di nuovi compiti legati alle nostre comunità che cambiano. Fino a venti anni fa infatti, alle imprese di trasporto erano chieste poche cose: puntualità e sicurezza dei passeggeri e del personale.

Oggi esse hanno compiti enormi e nuovi cui assolvere: sostenibilità ambientale, sistemi urbani, intermodalità tra ferro, gomma e nuove o nuovissime modalità di trasporto che assicurino rispetto dell’ambiente ma anche il cosiddetto “door to door”. C’è bisogno di superare i particolarismi irrilevanti, le visioni puntate solo alla sopravvivenza e al “niente si muova”, consapevoli che se vogliamo riappropriarci della nostra vita dobbiamo cambiare molto del modo in cui molti operavano fino a due mesi fa e dobbiamo farlo in fretta. Forse per questo il Trasporto Pubblico è il sistema nervoso del Paese: ha compiti crescenti in una comunità in continua evoluzione.

Il trasporto pubblico racconta un Paese, per questo tutti i cittadini hanno il diritto di conoscerne e capirne i problemi fino in fondo. Ecco perché ogni parola, ogni riga di questo paper è fatta per essere capita fuori, prima che dentro, la ristretta cerchia degli addetti ai lavori.

Sulle aspettative che abbiamo non ha alcun senso dividere le visioni tra pessimisti e ottimisti.

Ha piuttosto senso, soprattutto per chi fa il nostro mestiere realizzando il diritto delle persone a muoversi, tornare a farlo nel modo migliore, più sicuro ed economicamente sostenibile. Così facendo i nostri concittadini guadagneranno maggiore ottimismo, che non è uno stato d’animo passeggero ma un modo per guardare il mondo, sapendo che esso sarà migliore se noi, insieme e prima degli altri, saremo migliori.

Arrigo Giana